Otaku in Italia.

Perché a trent’anni guardiamo ancora i “cartoni animati”

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    sicuramte avete già sentito la parola: "Otaku" ma quanti di voi sanno bene a che cosa si riferisce?

    In rete ormai spopola il dibattito sul termine “otaku”, in particolare sulla sua accezione giapponese e su quella italiana. Cerchiamo di fare un attimo chiarezza spiegando le origini del termine, la sua evoluzione e il modo in cui è stato importato qui in Italia. Partiamo dal significato della parola “otaku” nella sua lingua nativa: il giapponese.

    In Giappone il significato originario di “otaku” era “casa altrui”. Con l’evoluzione, il termine è andato ad indicare “persone con una passione ossessiva per qualcosa”. Parliamo di gente che dedica tutto il proprio tempo libero ad una cosa sola, senza variazioni, e che quindi la approfondisce il più possibile. Nel nostro caso potrebbe trattarsi di un appassionato di anime, che cerchi di possedere tutto ciò che riguarda la sua serie preferita. L’otaku è un po’ “fissato” e, in qualche raro caso, tende talmente tanto verso la sua fissazione da diventare “hikikomori” e rinunciare così alla propria vita sociale, chiudendosi in casa pur di perseguire l’interesse scelto. In casi meno estremi si tratta comunque di persone timide o molto sensibili, che hanno problemi a rapportarsi con il prossimo.
    A partire dagli anni ’80, però, qualcosa è cambiato. La “rivoluzione” della parola giapponese è partita dagli Stati Uniti, dove un film ha sfruttato il vocabolo rivalutandolo nel suo etimo nipponico: poiché “otaku” esprime l’idea di una “casa ospitale e venerabile”, chi vi dimora è giustificato dal benessere che gli deriva dal dedicarsi con agio al proprio hobby. Dagli Stati Uniti all’Europa, passando per la Corea, il nuovo slang dei “fumettisti zelanti” è riapprodato in patria come appellativo positivo, e oggi persino i giovani del Sol Levante esperti e appassionati di manga amano definirsi così.
    Il termine otaku è la parola d’ordine che segna una linea di confine tra i veri appassionati, quelli storici, che usano i nomi originali e sanno tutto sul mondo dei manga, e gli altri, i neofiti, che hanno da poco iniziato a guardare anime e a leggere fumetti. Non a caso, nella cultura anglo-americana il concetto viene confuso e identificato con quello di “guru”. È così infatti che i “novellini” considerano gli otaku: a loro ci si rivolge per porre domande e apprendere ogni informazione possibile non solo sull’animazione, ma sulla cultura giapponese in generale. Questa tendenza giovanile è cosmopolita ed è presente in tutto il mondo. Una vera e propria sottocultura che, soprattutto in Giappone, influenza i gusti e investe tutti i settori. A essere stimolata è soprattutto la creatività: i giovani si dilettano a disegnare fumetti casalinghi, si incontrano nei forum dedicati alle serie del cuore, sulle pagine di facebook e, partendo dalla comunicazione on line, tornano nel mondo reale organizzando raduni, alcuni di loro partecipano nelle vesti degli eroi animati preferiti.
    Elemento in comune ai moltissimi gruppi di otaku italiani è il ritorno alle origini, ovvero la riscoperta del manga e dell’anime preferito prima delle censure e modifiche cui è stato sottoposto in fase di adattamento televisivo. A tenerli uniti sono un vero e proprio spirito di solidarietà e un senso di appartenenza, come una specie di sindacato, che cataloga gli esemplari rari e tutela gli affiliati da possibili “soprusi”, come prezzi troppo elevati e, soprattutto, adattamenti troppo severi. Da quando gli anime sono arrivati in Italia sono sempre stati vittima di censura e adattamento al limite della vergogna. Sono molti i critici e gli psicologi che, insieme ai non-otaku, considerano questo genere di produzione un cattivo esempio
    per i bambini, perché troppo violenti, di pessima qualità, dei veri “attentati” all’innocenza infantile.
    Per questo motivo, insieme al desiderio di vivere il vero spirito dei manga, gli otaku organizzano moltissimi eventi con lo scopo di informare. Noi sosteniamo sempre che il “male”, se e quando c’è, non sta nel mezzo o nel prodotto, ma in chi lo fruisce.
    Concludendo, l’accezione più giusta, più rappresentativa che attualmente si può usare per la parola “otaku” qui in Italia sia quella di una persona con una forte passione per i manga e gli anime, e che li legga e li guardi in una certa quantità e con una certa costanza. Spesso l’accezione negativa di “otaku” deriva dagli stessi banali e infantili pregiudizi che portano a definire “sfigati” i secchioni, cioè se vogliamo metterla negli stessi termini gli “otaku della scuola”. Chi coltiva una passione, qualunque essa sia, è degno di stima molto di più di chi spreca la propria vita senza approfondire alcun tema che la riguarda.

    Fonte: OnE - Otaku no Empire


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  2. Anze
     
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    viva gli otaku :')
    articolo molto interessante :jaja: brava roby! ^^
     
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1 replies since 27/10/2012, 13:09   365 views
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