Otaku in Giappone.

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    Articolo precedente: Otaku in Italia.

    Dopo il diffusissimo articolo Otaku in Italia, molti giustamente si saranno chiesti: ma in Giappone? È vero che gli otaku in Giappone sono persone ossessionate e prive di vita sociale?

    L’unico modo per fare un’analisi dettagliata di questo tipo è recarsi sul posto, ma un viaggio di piacere nel paese del sol levante certo non può produrre dei risultati veritieri e credibili, possiamo però raccogliere qualche testimonianza di chi ci vive. Abbiamo scelto quindi il parere di una persona che con i manga ci è cresciuta e, con essi, ha fatto carriera. Si tratta di un articolo scritto da Keiko Ichiguchi, su “Kappa Magazine 89″ del 1999.


    [….] In realtà otaku è come dire “lei”, ma è un modo di dire talmente formale che un giovane non si sognerebbe mai di usare….Tornando al discorso di appassionati di Anime e Manga, si deve tornare indietro fino agli anni 80. Allora, in Giappone, gli otaku erano ancora chiamati “maniaci di manga” o qualcosa del genere. Ad un certo punto, i manga-fan di sesso maschile hanno cominciato ad usare la parola otaku invece di darsi semplicemente del tu. Inizialmente lo usavano principalmente i ragazzi, anche se non si sa perché, e veniva considerata semplicemente una strana abitudine, per lo più sconosciuta a chi non conosceva l’ambiente del fumetto.
    E qui veniamo alla parte spiacevole della storia. Nel 1989 fu commesso un crimine orrendo: un ragazzo trucidò alcune bambine, infierendo sui corpi senza vita e facendoli pervenire in quello stato ad alcuni dei genitori. Scoperto il colpevole, la polizia perquisì il suo appartamento, trovando una fornita collezione di fumetti. Il fatto che fosse un “maniaco dei manga” gettò ingiustamente di riflesso una luce negativa su tutti gli appassionati di fumetto, soprattutto a quelli che partecipavano alle convention. La polemica iniziò a dilagare, e la società prese ad attaccare alla cieca l’ambiente dl fumetto, dando la colpa del crimine ai manga.
    È una cosa che purtroppo succede anche oggi, e ogni volta che uno squilibrato commette un reato, se non è un adulto la responsabilità delle azioni commesse viene attribuita alle sue letture, senza considerare che la maggior parte di giovani legge fumetti e non risente di turbe psichiche. […]


    Sconvolta dall’orrendo crimine, la gente iniziò ad avere paura dell’ambiente dei fumetti, sconosciuto ai più e pertanto considerato “anormale”,alimentato dal fatto che non aveva nemmeno idea di come chiamare questa tribù completamente nuova per loro. Una sera un cronista annunciò ad un telegiornale che “Questi ragazzi si chiamano tra di loro otaku”. E così, da quel momento, la società giapponese prese a indicarli col termine otaku.

    […] Naturalmente il termine era usato in maniera spregiativa, per indicare gente chiusa, asociale o addirittura fuori di testa,e così scoppiò una piccola guerra tra appassionati di manga e i mass media.
    Sembrava veramente che i giornalisti cercassero di creare scandali apposta, demonizzando qualsiasi atteggiamento degli otaku, arrivando perfino ad realizzare interi servizi sulle fiere del fumetto, ma indicandole come l’origine di tutte le anormalità del Giappone. Per questo motivo, chi partecipava alle fiere faceva di tutto per nascondersi dalle telecamere per non farsi “scoprire” dai genitori, senza rendersi conto che il gesto non faceva altro che peggiorare la situazione: questo dava infatti l’impressione che gli otaku si vergognassero di se stessi e che stessero commettendo un crimine.
    Ogni fine settimana venivano organizzate decine di fiere del fumetto e i giornalisti ci si avventavano sopra come mosche sullo zucchero. Certo, i media si stavano comportando da veri sciacalli, ma purtroppo è anche vero che fra gli appassionati c’erano molti che non si rendvano conto di far il gioco dei giornalisti: maschi travestiti da personaggi femminili, ragazzi e ragazze che parlavano in continuazione solo ed esclusivamente di manga, persone che si lanciavano in dichiarazioni estreme ed imbarazzanti, e così via. D’accordo, questo accade ancora, ma almeno i tempi oggi lo consentono un po’ di più. A peggiorare la fama già negativa degli otaku c’era l’aspetto quotidiano della maggior parte di essi che- a differenza di quelli odierni- si vestivano in maniera trasandata o fuori moda, a volte troppo retrò, a volte troppo…futuribili! […]
    Ci sentivamo vittime innocenti della comunicazione di massa, e così gli organizzatori proibivano l’ingresso ai giornalisti, sicché loro erano costretti a fare interviste alla gente per strada che aspettava in fila per l’apertura della fiera. La gente del vicinato, considerando queste persone come una folla di pazzi scatenati, a volte arrivava addirittura a chiamare la polizia. Era un vero caos.
    Ma, si sa, la gente si annoia in fretta, e così i giornalisti furono costretti ad andare in cerca di nuovi argomenti. Per fortuna questa morbosa curiosità nei confronti del mondo degli appassionati di manga andò scemando, lasciando come unico residuo una parola nuova, per l’appunto otaku, che ormai ha assunto il significato di “persona che si dedica con grande passione ed interesse ad un hobby, e che quindi diventa esperta in quel campo”. Oggi essere otaku è addirittura diventato una moda e il termine non viene più associato solo ai fumetti. In un’università giapponese si tiene addirittura un corso di “otakulogia”, e il professore che ne tiene la cattedra afferma che gli otaku sono persone dall’intelligenza particolarmente elevata e talmente dotate di creatività e passione da essere in grado di concretizzare qualsiasi progetto.




    Non vi sembra una situazione familiare? Non sembra un po’ quello che succede in Italia quando i telegiornali fanno dei servizi improponibili contro la violenza dei videogiochi? Oppure quando Kenshiro istigava a lanciare i sassi dal cavalcavia? Questo articolo dimostra che i pregiudizi verso ciò che non si conosce sono internazionali e non sono certo un’esclusiva del nostro paese ma soprattutto, dimostra che chi continua a sostenere l’accezione negativa del termine “otaku”, sostiene a sua insaputa (almeno si spera) un’idea vecchia basata sui pregiudizi ignoranti dei mass media giapponesi che si comportano in maniera analoga ai tanto odiati mass media italiani.

    Fonte: OnE - Otaku no Empire
     
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